Quando a vincere non è il migliore, ma chi imbroglia meglio
Mercoledì 23 gennaio, per la collana i Ricci di Edizioni Gruppo Abele, esce Lo sport tradito. 37 storie in cui non ha vinto il migliore, di Daniele Poto. Con resoconti reali di imprese agonistiche viziate dagli imbrogli, il saggio affronta il tema dell’illecito nel mondo dello sport muovendosi fra esempi di doping, corruzione, partite vendute, fino all’omicidio.
L’Italia del perdonismo
L’immagine di un campione sportivo è, ad oggi, fruita in maniera consumistica: le sue vittorie, la sua popolarità e i suoi record sono prodotti da vendere. Non stupisce che gli atleti siano spesso affiancati da addetti stampa, specialisti delle pubbliche relazioni, mental coach, preparatori atletici personalizzati e social media manager: tutto della sua persona è monetizzato, a partire ovviamente dalle sue prestazioni sportive. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che la pressione del business possa spingere l’atleta (e le società sportive) a percorrere scorciatoie e scendere a compromessi (anche) illeciti pur di mantenere intatta la figura del campione e di tutelare lo sportivo-eroe. Un esempio concreto lo scrive Daniele Poto nell’introduzione, riportando quanto spesso i media ricordino Paolo Rossi come il fortunato eroe della spedizione mondiale del 1982, e non come il calciatore squalificato per il primo clamoroso calcio di una calciopoli ante litteram nel 1980. «L’Italia e il Paese dei condoni, delle amnistie, dei salvacondotti, dei procedimenti agevolati, del perdonismo. Nella giustizia, nel fisco ma anche nello sport». Una narrazione salvifica per gli atleti che ricorrono all’imbroglio pur di vincere, che minimizza gli episodi oscuri e ne cancella il ricordo per salvaguardare i guadagni miliardari generati dall’indotto sportivo.
Anche allo sport serve memoria
È dalla necessità di memoria storico-sportiva che l’autore trae lo spunto per questo saggio: un dossier di decine di casi dove lo sport è stato tradito e dove a vincere non è stato il migliore, ma chi ha imbrogliato di più. Un’analisi puntuale del lato oscuro della disciplina sportiva, dove storie di campi da gioco e di pedane si intrecciano con le stanze del potere e le aule giudiziarie. Ma anche una denuncia verso certi personaggi ambigui che danno lezioni di vita come opinionisti affidandosi alla scarsa memoria dei tifosi.
Una scelta di casi emblematici e contraddittori che ancora riverberano nell’attualità, come quello del suicidio-omicidio di Denis Bergamini, ma con qualche rimando dalle tinte vintage come le scommesse truccate del Totocalcio. Senza trascurare la frustrazione davanti al tentativo di fare giustizia attorno a risultati artefatti, anche olimpici: «sappiamo, infatti, che tante performance sono fasulle e non potranno mai essere battute ma finiamo per legittimarle per motivi di comodo e di finto decoro, di conservazione dell’esistente (o di quello che ne rimane)». Un utile ripasso degli inquinamenti sportivi per immunizzarsi dalle manipolazioni e mantenere viva la speranza di un ritorno a quella trasparenza e altezza di valori che dovrebbero essere il fondamento stesso dello sport.
L’autore
Daniele Poto giornalista, scrittore e ricercatore, si occupa di legalità, socialità, sport e gioco d’azzardo. Ha all’attivo numerosi libri fra letteratura e saggistica. Impegnato in Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, sugli stessi temi ha pubblicato, tra gli altri, Le mafie nel pallone (Edizioni Gruppo Abele, 2010).
Ufficio Stampa