Ci ho messo 7-10 giorni per darmi una spiegazione. Rientro in Champions passaggio obbligato, ma futuro società non è a rischio. Facile dare addosso a Tavecchio, è l’uomo del fare non del comunicare”

L’ex dg nerazzurro rivela: “Addio Inter dettato dal dualismo con l’ad”

Marco Fassone, ex dirigente di Juventus, Napoli e Inter, è tornato a parlare per la prima volta dopo l’addio all’Inter e lo ha fatto negli studi di Sportitalia, ospite della trasmissione condotta da Michele Criscitiello, “Monday Night”. Ecco il suo lungo intervento:
Il 18 settembre del 2015 si interrompe il rapporto tra l’Inter e Marco Fassone. Dal 18 settembre Fassone non ha rilasciato dichiarazioni in attesa di dire definitivamente addio all’Inter. Oggi Fassone esce un po’ allo scoperto. Le stranezze sono due: Fassone si occupa del mercato dell’Inter insieme a Piero Ausilio, vincendo il derby per Kondogbia. Poi però è arrivato un divorzio inaspettato. Perchè aspettare il 18 settembre? Perchè non poteva continuare questo connubio che sembrava vincente?
“E’ una domanda da rivolgere più che altro al presidente Thohir, che ha già risposto credo, gli è stata fatta un paio di volte. Io non posso che essermi dato delle spiegazioni, ma confesso anche che ci ho pensato una settimana-dieci giorni, ci sono sufficientemente male. Dopodichè, come tutte le storie che finiscono, è inutile andare a scavare, a cercare troppo quali siano state le ragioni. Credo – ma questa è una mia idea, non è detto che sia la ragione primaria che abbia indotto il presidente a fare questo – che il dualismo che si era forse un po’ generato con l’amministratore delegato, lo abbia indotto a ritenere che ci debba essere un’unica figura a capo della società, con pieni poteri. E abbia fatto la scelta che lui ritiene più giusta, affidando la responsabilità del club all’uomo che ha scelto lui”.

C’era un progetto che l’Inter stava portando avanti. Davvero quello che si dice dell’Inter corrisponde alla realtà dei fatti? O arriva almeno in Champions o l’anno prossimo sono guai seri addirittura da pensare ad un futuro a rischio per il club di Thohir?
“No, ho letto anch’io delle considerazioni di questo tipo, ma secondo me sono azzardate. L’Inter ha bisogno di rientrare rapidamente nel giro della Champions League perchè ormai non è soltanto più una questione di prestigio, una questione di sport, è una questione economica e gli investimenti che il presidente, la società e gli azionisti hanno deciso di fare questa estate, sono funzionali e finalizzati al rientro in Champions League. Ciò non toglie che, se per qualche malaugurata ragione, questo approdo non dovesse esserci, l’Inter ha oggi una rosa con un valore di mercato estremamente importante, dovrà la prossima estate correre ai riparti dal punto di vista economiche e ha le modalità per poter recuperare sul piano economico e sul piano finanziario quelli che sono stati gli investimenti di oggi. Quindi non ci sono rischi dal punto di vista societario, anche se il rientro in Champions League è un passaggio obbligato”.
Dal 2003 al 2015 conosciamo pochi dirigenti che hanno fatto Juve, Napoli e Inter. Possiamo definirla più una persona di campo, una persona di numeri o una persona che porta delle opportunità alla società per la quale lavora? Si parlava tanto dello Juventus Stadium. Si è detto anche Fassone era l’uomo che doveva portare un nuovo stadio all’Inter e quando hanno capito che il nuovo stadio non si sarebbe più fatto allora Fassone non andava più bene per l’Inter. Domanda cattiva o giusta?
“No, quest’ultima dello stadio è una domanda giusta, ma non corrisponde alla realtà. Credo che quando il dottor mi ha chiesto di venire a dargli una mano all’Inter nel 2012, non mi abbia preso per fare lo stadio nuovo, non sono neanche così convinto che lui fosse realmente un fautore dello stadio nuovo, piuttosto che della ristrutturazione dello stadio di San Siro. Certamente questo non solo era, ma credo che continui ad essere anche nei piani del presidente Thohir, una delle priorità: cioè i club italiani di vertice devono dotarsi di uno stadio, non necessariamente di uno stadio proprio, ma di uno stadio che diventi la loro casa e gli permetta di valorizzare le poche risorse economiche che il calcio italiano riesce a produrre al di là dei diritti televisivi. Se fossi rimasto a Milano, mi sarebbe piaciuto continuare a lavorare su quel progetto”.

Lei è sempre stato juventino? Ci chiedono i telespettatori se tifa ancora Juve…
“In questo momento tifo Inter, ma nella mia storia si sono accavallate tante cose. Io ho iniziate a fare l’arbitro a 16 anni e facendo l’arbitro perdi quella che è la parte passionale da tifoso di una società e ti dedichi a un’altra cosa, a un’altra vita, vedi il calcio in un altro modo. Poi sono stato dirigente al Torino, perchè nel passaggio c’è stata un’annualità col Torino di Cimminelli in Serie B, dove ho fatto il direttore commerciale. Poi ho fatto quasi otto anni alla Juventus, due al Napoli e tre e mezzo all’Inter”.

Ma fino ai 16 anni per chi tifava?
“Per la Juventus, quando ero ragazzo il cuore era bianconero”.
Perchè saltò lo scambio Vucinic-Guarin?
“Io credo che saltò perchè non c’era la convinzione da parte dei due azionisti di andare avanti, era un momento un po’ confuso. Era il primo mercato dell’era Thohir, c’era ancora Marco Branca a capo dell’Area Tecnica dell’Inter. Non credo che ci fosse la convinzione totale da parte della società di andare avanti, anzi, non c’era, perchè altrimenti si sarebbe fatto, quindi ad un certo punto si fermò la trattativa”.

C’è chi dice che lei abbia pagato un disavanzo di bilancio sul mercato estivo di una decina di milioni. Poi, a proposito del rinnovo di Mazzarri, come andarono le cose? Era un decisione che prese la società o lei in prima persona?
“Parto dall’inizio. Il discorso del disavanzo: io poi ho avuto modo di incontrarmi con il presidente e di chiarire le cose, c’entra relativamente poco il disavanzo, è modestissimo rispetto alla complicatezza del mercato di questa estate. Quando fai 100 milioni di operazioni in entrata, quasi 100 di operazioni in uscita, non è che puoi fare il farmacista e finire zero. Abbiamo finito con un disavanzo di 6 milioni, se non ho capito male. Che non dovrebbe essere difficile  – se il presidente riterrà – colmare nel mercato di gennaio. Per quanto riguarda Mazzarri, come tutte le decisioni dell’Area Sportiva, da quando c’è il presidente Thohir, tutte le decisioni sono state prese insieme: il direttore Piero Ausilio, il sottoscritto, il presidente e l’allenatore del momento. Quindi anche la decisione di estendere di un anno il contratto di Mazzarri, che venne presa alla fine del campionato 2013-2014, venne prese confrontandoci tra di noi e ritenendo che quella fosse la soluzione giusta. Ma per una ragione abbastanza semplice: Mazzarri è un allenatore – può piacere e non piacere – che però è sempre stato molto chiaro dal punto di vista contrattuale, lo è stato a Napoli negli anni che ho lavorato con lui, lo è stato a Milano quando è arrivato. Lui è un allenatore che – a meno che non lo decida lui – a scadenza non rimane. Lui vuole avere un anno di paracadute, lo dice sin dall’inizio del suo rapporto contrattuale, lo disse al dottor Moratti quando firmò il primo contratto, che infatti era biennale. E alla fine del primo anno, volle sapere se aveva ancora la fiducia della società e quindi l’estensione del contratto, oppure se non c’era. Quindi quando un allenatore ha questo tipo di filosofia, tu ti trovi nella condizione o di prolungare o di esonerarlo, non esiste la via di mezzo, che dici: lascio lì un allenatore scontento, che sai benissimo che ti creerà dei problemi. Noi dopo il finale di stagione, una stagione difficilissima, che aveva gestito Walter, conquistando un quinto posto che era l’obiettivo che la società si era data e facendo una serie di operazioni quella estate di rinnovamento dell’area e della società, perchè nove giocatori uscirono per scadenza del contratto, ritenevamo che le cose l’anno scorso, nel ’14-’15, potessero oggettivamente andare meglio e che Mazzarri avrebbe proseguito in questa ascesa che ci aspettavamo. Poi purtroppo le cose sono andate come sapete e quindi alla fine c’è rammarico di aver dovuto cambiare allenatore a metà anno e di aver perso un anno di tempo, perchè Mancini ha dovuto utilizzare i primi sei mesi per riavviare la costruzione. Quindi l’anno che doveva essere l’anno scorso è diventato quest’anno”.
Lei espose una maglietta con la scritta: “Meglio un anno senza titoli che una vita da ridiculi”. Lo rifarebbe?
“No, è stata un’ingenuità. Quando vai, come capita a noi spesso, nei club della Juventus, del Napoli, dell’Inter, del Torino, capita quasi sempre che ti mettano in mano una sciarpa e una maglietta, e fai molta difficoltà a non ritirarla, a non esporla. Francamente, in quel momento di molti anni fa, che non ricordavo neanche, probabilmente, anzi, certamente, l’ho esposta senza pensare minimamente e ho fatto un errore, perchè comunque è una maglietta che poteva far risentire qualcuno, offendere qualcuno, ma ti accorgi sempre più tardi delle cose. Ho già chiesto scusa e con l’età si impara anche a non commettere delle leggerezze che all’inizio della propria carriera si commettono”.

Quanto ha inciso Mancini nell’addio di Fassone all’Inter?
“Io – poi ella vita si è sempre sorpresi – con Roberto Mancini ho un ottimo rapporto, ho anche un po’ la presunzione di credere che lui abbia accettato di ritornare a Milano e di fare questa seconda avventura nerazzurra anche perchè c’ero io, perchè c’era Ausilio, perchè credo che con noi due si sia trovato molto bene, si fosse costruito un team che lavorava nel rispetto reciproco dei ruoli, l’allenatore che fa l’allenatore, il direttore sportivo, il direttore generale, con la proprietà che fa da collante e mette insieme le idee quando ci sono delle divergenze. L’ho visto sinceramente dispiaciuto quando sono andato a trovarlo la sera in cui mi avevano comunicato che avrei dovuto lasciare, era anche sorpreso e amareggiato di questa decisione. Quindi credo che Mancini non abbia inciso nella scelta e che se avesse potuto scegliere lui, avrebbe preferito che le cose rimanessero come stavano andando in quel momento. Ma ripeto, resta una mia idea, il film che mi sono fatto io di come sono andate le cose”.
La trattativa Kondogbia com’è andata?
“La trattativa per Kondogbia è stata una delle trattative più mediatiche per cui si sanno molte cose di come sia andata. Si è lavorato con Mancini per convincere Geoffrey. Noi potevamo mettere sul piatto di meno di quanto potesse offrire il Milan e abbiamo fatto un grande sacrificio. Il fatto che Mancini abbia potuto parlare col giocatore è stato determinante. E il ragazzo ha accettato un ingaggio inferiore rispetto a quello che il Milan gli ha proposto. Con la sua volontà è stato più facile trattare col Monaco Ciò non toglie che il giocatore sia costato più caro di quanto immaginassimo all’inizio, perchè quando si sviluppa un’asta il prezzo sale. “.

30 + bonus?
“I numeri sono abbastanza blindati, ma quello che è stato scritto sui giornali non è molto distante dalla realtà”.

Il mercato l’ha deciso tutto Mancini o avete lavorato insieme?
L’Inter è molto ben organizzata dal punto di vista della costruzione e della scelta. C’è uno scouting eccellente con Massimo Mirabelli. Ausilio valuta tutti i suoi suggerimenti e alla fine si arriva a una soluzione congiunta. Capita che arrivino giocatori suggeriti direttamente da Mancini, come ad esempio Yaya Touré. L’ivoriano non è mai stato vicino vicino per le condizioni poste dal Manchester City ma c’è stato un momento in cui il giocatore sembrava convinto, grazie a Mancini, del progetto Inter”.

Montoya?
“Ogni tanto c’è un club che ti suggerisce un giocatore, come nel caso di Montoya che è un prestito secco. La qualità del giocatore è indiscussa, il tecnico l’ha valutato e si pensava potesse essere utile alla causa”.

Quanto ha inciso la volontà di Moratti sul ritorno di Mancini all’Inter?
“Moratti all’interno della società lo si vede di meno rispetto al passato, ma avendo il 30% credo che si senta col presidente e si confronti a lungo con lui sulle scelte di mercato. Quando io e Ausilio suggerimmo il nome di Mancini, sono convinto che Thohir ne abbia parlato col presidente Moratti per avere il suo conforto e il suo forte consenso”.

Non è che adesso andrà al Milan?
“Al momento mi godo la famiglia. Per il futuro aspetto e vediamo”.

Galliani in difficoltà?
“Mi spiacciono le contestazioni nei confronti di uno dei migliori dirigenti del calcio italiano. Del resto si cercano sempre capri espiatori ma lui è una quercia, è solido e saprà superare anche questo momento. Infatti il Milan è ritornato al quinto posto, dimostra che il Milan è una buona realtà e tutti dovranno stare attenti lì davanti”.
Si può paragonare l’operazione di Bee Taechaubol a quella di Erick Thohir?
“Ne so poco e non so quanto sia veritiero quello riportato. Paragone Bee-Thohir non fattibile dato che si parla da una parte di un soggetto che vuole comprare quote di minoranza, mentre nel caso di Thohir si sapeva sin da subito che avrebbe preso la maggioranza”.

Qual è il ruolo delle banche nel calcio?
Le banche oggi più che mai sono importanti per i club, pochi sono riusciti a trovare un certo equilibrio. La stessa Inter ha trovato delle banche che hanno creduto nel progetto societario, ritenuto solido. E l’Inter adesso ha un margine costi-ricavi pari a zero, per cui il percorso virtuoso è iniziato”.
La cessione di Kovacic?
“Ci siamo trovati di fronte a scelte all’inizio della campagna acquisti. abbiamo individuato 2-3 nomi dei papabili da sacrificare. Quando nella settimana di Ferragosto non erano state effettuate delle vendite per sanare il bilancio abbiamo deciso di cedere Mateo e col senno di poi dico che è stata un’operazione necessaria”.

La strategia di mercato basata sui prestiti con diritto di riscatto?
“Quando abbiamo dei vincoli finanziari o non fai mercato o con un po’ di creatività ti adoperi e vincoli la permanenza di alcuni giocatori in base a delle presenze che trasformano il prestito in obbligo. C’è da convincere le società ma lì devi essere bravo a negoziare. Il caso di Perisic è indicativo”.

L’Inter ci ha provato per Allan?
“Credo ci sia stata qualche chiacchierata, ma mai una trattativa”.

La cessione di Shaqiri?
“Insieme a Podolski rappresentava il ruolo di esterno che avrebbe permesso a Mancini di avere il modulo gradito. Dopo un paio di mesi ci si era accorti che non era quella la posizione per lui o lui stesso non era il giocatore ideale per Mancini. Shaqiri ha avuto tante opzioni, poi ha scelto l’Inghilterra”.

C’è stata una buonuscita dall’Inter?
“No, nessuna buonuscita”.
Cosa pensa di De Laurentiis?
“Ottimo presidente e per lui parlano i risultati. Nel mio caso non si parla nemmeno di un divorzio dato che avevo due anni di contratto e quando mi arrivò l’offerta dell’Inter comunicai al club l’intenzione di lasciare. Napoli è un posto dove si lavora bene, è una città bellissima, un pezzetto di cuore mi è rimasto. Ieri sono andato anche a vederlo, perchè credo sia una delle squadre che gioca il più bel calcio. Il mio giudizio su De Laurentiis è molto positivo”.

Andrea Agnelli?
“Ci ho lavorato poco. Andrea è arrivato nel maggio del 2010 e io ad agosto ho lasciato, quindi il mio giudizio sarebbe molto superficiale. Detto questo per lui parlano i risultati, quattro Scudetti consecutivi, una finale di Champions, conti economici in ordine, mi sembra fuori da ogni discussione”.

Contrasti Elkann-Agnelli?
“Quando c’ero io direi di no. Mi pare che non perdano occasione per dichiarare la vicinanza”.
Giochi sporchi contro Tavecchio?
“Facile dare addosso a lui. Certamente ha fatto degli scivoloni sempre e soltanto sotto il punto della comunicazione. L’ultimo in modo squallido per come gli sono state strappate di bocca le parole. Tavecchio è un uomo del fare, non del comunicare. Si rimbocca le maniche e mette mano dove in posti dove nessuno aveva fatto per anni. Dal punto di vista del fare per me è ampiamente promosso, dal punto di vista del comunicare ha fatto delle gaffes per le quali lui stesso è il primo ad essersene pentito”.

La presidenza della Lega?
“Fino a un mese fa ritenevamo fosse giusto un cambiamento di direzione all’interno della Lega e ci fu una prima tornata nella quale appoggiammo la candidatura di Andrea Abodi. Poi si fecero altre votazioni e appoggiammo la candidatura di Beretta e abbiamo provato dall’interno della Lega a fare delle riforme di cui avevamo bisogno”.

Il candidato della presidenza federale che potrebbe spingere il suo gruppo quale potrebbe essere?
“Fino a un paio di mesi fa non discutevamo di elezioni, essendo esse lontane. L’unico candidato uscito allo scoperto è Andrea Abodi, che ha ribadito il desiderio ma sulla Federcalcio non abbiamo altri nomi di candidati”.

La Juve vincerà lo Scudetto?
“Non vincerà lo Scudetto.

Arriverà in Champions?
“Sì, penso che alla fine ce la faccia”.

Domani sera cosa farà?
“Domani sera le auguro di fare bene, ma becca una squadra che sta in un momento di forma straordinario, quindi dovrà stare attenta”

La differente strategia di mercato fra la gestione Mazzarri e Mancini?
“Non è che a Mazzarri non abbiamo comprato dei giocatori che voleva e a Mancini sì. Abbiamo usato la stessa strategia con entrambi, evidentemente i due allenatori avevano ambizioni e strategie diverse”.

La Juventus ha sbagliato mercato quest’anno?
“Non mi permetto di giudicarlo nè di contestarlo. Evidentemente aveva dei giocatori che erano arrivati alla fine del ciclo e credo che sostituire quei giocatori, a prescindere dal mercato, credo sia difficile, complicato e possa richiedere un periodo di tempo”.

Il Milan come ha speso i soldi sul mercato?
“E’ molto difficile guardare in casa d’altri, non puoi sapere le dinamiche e come vanno le cose, se volevano quei giocatori lì o no. Certamente ci sono alcuni giocatori che il Milan ha preso che reputo molto molto bravi come i due davanti. Poi il Milan è quinto, quindi al di là di tutto saranno i numeri a parlare”.